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Christmas - Natale - Navidad - Noël 1988

Pope Saint John Paul II's Homily at Midnight Mass
St Peter's Basilica - in Italian

"1. “Vi annunzio una grande gioia . . .
oggi vi è nato . . . un salvatore” (Lc 2, 10-11).

Ascoltiamo questa voce che giunge dal profondo della notte di Betlemme. L’hanno ascoltata per primi i pastori “che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge” (Lc 2, 8). Perciò la liturgia di mezzanotte viene, a volte, chiamata la “Messa dei pastori”.

Siamo riuniti nella Basilica di San Pietro, per ascoltare ancora una volta le stesse parole:
“Vi annunzio una grande gioia”.
Insieme con noi - mediante la radio e la televisione - ascoltano quest’annunzio gli uomini di diverse lingue, nazioni, Paesi e continenti.

Così, ogni anno, i pastori di Betlemme sono in qualche modo di nuovo presenti nei diversi luoghi della terra.
E anche se le parole, che ascoltiamo nella notte di Natale, sono ogni anno le stesse, esse sono però sempre da noi attese e per noi sempre nuove.

2. “Oggi . . . è nato . . . un salvatore, che è il Cristo Signore”.

È nato ancora una volta. Ancora una volta è venuto nel mondo, nella notte di Betlemme. Infatti quell’“oggi” di prima, di quasi duemila anni fa, lo riviviamo come nostro.

“Vi è nato un salvatore”. Può sembrare che l’umanità abbia già fatto tanto, e continui a farlo, per “salvare” se stessa con le proprie forze, perché l’uomo sia sufficiente a se stesso. Tuttavia questi si convince sempre di più che non lo è; che tutto ciò che si chiama “civiltà”, “progresso”, “sviluppo”, non raggiunge le radici del male, che permane nella storia dell’umanità - e perfino, in un certo senso, diventa ancor più profondo e più diffuso. E, d’altra parte, tutto ciò che serve a “elevare” l’esistenza umana, ciò che la fa “migliore”, non raggiunge la pienezza di quel bene, al quale è indirizzato l’essere umano.

Intanto le parole: “vi è nato un salvatore”, continuano a toccare ciò che nell’uomo è permanente e reale, ciò che è profondamente vero. E ogni anno sono attese con le stesse motivazioni di fondo in questa nostra umanità, anche se molte volte non ne siamo consapevoli.

3. I pastori di Betlemme hanno sperimentato, quella notte, un grande stupore. Ciò che hanno ascoltato li ha riempiti, prima, di timore. Ma, “Non temete” - dice il messaggero - “Vi annunzio una grande gioia”.

Nel momento in cui Dio - il Figlio, della stessa sostanza del Padre - nasce come uomo, viene nel mondo come figlio dell’uomo, come figlio di Maria, l’uomo non può non lasciarsi prendere da un grande stupore.

Tutto il Vangelo è il libro di un grande stupore!
Dio, infatti, è eterno e invisibile. Egli abbraccia tutto: “In lui . . . viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17, 28). Dio è onnipotente. È “totalmente altro”: altro da tutto il creato. È la trascendenza assoluta.
È possibile che egli si faccia uomo? Che nasca in una stalla abbandonata, come un bambino di genitori senza tetto?

Perché? “Cur Deus homo”?

La notte di Betlemme è l’inizio di questo stupore. I primi a viverlo sono stati proprio i pastori. E in questo stupore vi è prima una paura, e in seguito la gioia. Esso non dura soltanto un momento. È custodito dalla coscienza umana per tutta la vita.

Occorre che ogni uomo si ponga costantemente la domanda: “cur Deus homo”? Ne cerchi costantemente la risposta - e la trovi gradatamente. Che il mistero rivelatosi questa notte lo abbracci e lo compenetri sempre di più.

Sì. Il mistero!

È bene, quando l’uomo prova un timore, un tremore interiore. Ed è bene quando trova la gioia. Ma non è bene quando manca l’uno o l’altra. Non è bene. L’uomo non può essere indifferente di fronte al mistero della notte di Betlemme. Non può respingere la domanda: “cur Deus homo”?

Questo dovrebbe costituire una “lacerazione” di fondo nella sua umanità.

4. Così tutti gli uomini sono chiamati a partecipare a questa notte . . .
“in mezzo ai popoli narrate la sua gloria,
a tutte le nazioni dite i suoi prodigi” (cf. Sal 96 [95], 3).

Nel mistero del Natale la storia dell’uomo - di ciascuno e di tutti - è chiamata a superare il limite che interiormente può bloccare il cammino verso la salvezza di Dio. L’uomo può ignorare questa chiamata. Può perfino non accettarla. Ma la “salvezza” non può venire all’uomo se non da Dio. Ed è venuta!

Proprio questa notte.
Dio è nato come uomo, che è creatura. Tutto il creato non trova forse il suo posto in questo mistero?
Quale significato ha il fatto che noi invitiamo la terra e il mare a partecipare alla gioia del Natale?
“Gioiscano i cieli, esulti la terra,
frema il mare e quanto racchiude;
esultino i campi e quanto contengono
si rallegrino gli alberi della foresta” (Sal 96[95],11-12).

5. “Bet-lehem” - significa letteralmente la “casa del pane”. Cristo, che là è nato, senza trovare un tetto, costruirà nella storia del mondo una casa che corrisponde al significato di questo nome: “Bet-lehem”.

La casa del pane: l’Eucaristia.
Lui stesso, il Salvatore, abiterà in questa casa in modo sacramentale. Anzi, lui stesso sarà questa casa: il suo corpo e il suo sangue.
L’intera umanità, nella quale ha inizio la trasformazione divina dell’uomo.

In questo modo l’uomo potrà superare costantemente il limite frapposto alla salvezza - alla salvezza eterna - che Dio stesso ha aperto con la nascita umana del Verbo, dell’eterno suo Figlio.
Con la nascita umana di Dio.

Veramente!

“Il popolo che camminava nelle tenebre
vide una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse” (Is 9, 1).

Veramente!

“Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia”."

Papa San Giovanni Paolo II's words at the Urbi et Orbi Blessing
Christmas Day, St Peter's Square, 25 December 1988 - in Italian

"1. “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi”! (Is 52, 7). Come è bello il Natale.
Sì! Esso è pieno della povertà umana, porta su di sé il marchio del rifiuto alla porta, quando Giuseppe e Maria cercarono un posto nell’albergo.

Porta su di sé il marchio dell’indifferenza umana - il primo segnale della durezza dei cuori, nella quale s’imbatterà il messaggero di lieti annunzi, non soltanto nei giorni della sua vita terrena, ma anche lungo tutte le generazioni. E proprio - per tutto questo - il Natale è bello!

2. Questo fascino è stato avvertito dai pastori di Betlemme. L’ha notato, più tardi, lo sguardo penetrante del vecchio Simeone e della profetessa Anna nel Tempio. L’hanno percepito gli occhi dei Magi, venuti dall’Oriente. Questo fascino - è la rivelazione del mistero del neonato. È la rivelazione della verità, del bene e del bello che sussistono in lui e che anzi sono lui stesso! Il fascino della nascita di Cristo attraversa le generazioni. Si rivela agli uomini e ai popoli: se ne estasiano dappertutto gli occhi illuminati dalla fede, ne cercano l’espressione umana gli artisti: i pittori, i poeti, i musicisti . . . vivono nella sua presenza i santi: come non ricordare almeno il poverello di Assisi?

3. Gli occhi illuminati dalla fede scoprono il fascino del mistero di Dio sotto il velo della povertà e dell’abbandono. Oh, quanta bellezza hanno visto in quella notte, gli occhi di Maria!
Non c’è modo di esprimerla!

E lo sguardo di Giuseppe seguiva quello della sposa. E tutta la povertà esteriore si trasformava nei loro cuori in più grande ricchezza, a cui nulla è paragonabile. Veramente, solo così poteva nascere Cristo! Solo così poteva prendere dimora tra gli uomini l’Emmanuele!
Il messaggero di lieti annunzi!

4. Il fascino del Natale si espande in tutte le vie, sulle quali passerà lui - il Santo di Dio! Il Figlio, che è irradiazione della gloria del Padre e impronta della sua sostanza (cf. Eb 1, 3). Egli passerà, beneficando tutti (cf. At 10, 38). Dio rivolgerà, in lui e per lui, la sua parola definitiva all’umanità.

Dio, che aveva parlato molte volte e in diversi modi per mezzo dei profeti, ultimamente . . . ha parlato . . . per mezzo del Figlio, per mezzo del quale ha fatto anche il mondo. Egli è erede di tutte le cose (cf. Eb 1, 1-2). È venuto per condividere con noi la sua eredità di Figlio.

5. “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi!”.

Che cosa proclama? Annunzia la salvezza, annunzia la pace - la riconciliazione con Dio stabilisce l’eterna alleanza nel suo sangue, annunzia, a ogni essere umano, il bene (cf. Is 52, 7), la vita eterna in Dio, che è la realizzazione di ciò che l’uomo porta, da sempre, dentro di sé, come vivo segno della somiglianza col suo divino Creatore e Padre . . . La grazia è diffusa sulle sue labbra, sulle labbra nel messaggero di lieti annunzi (cf. Sal 45 [44], 3).
Questa grazia, il fascino, anticipa la bellezza definitiva e ineffabile, la bellezza del volto divino, quando lo vedremo a faccia a faccia (cf. 1 Cor 13, 12).

6. Nella notte del silenzio e del rifiuto il messaggero di lieti annunzi reca al mondo, con la sua sola presenza, la novella inattesa e grandiosa: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16). La Chiesa prolunga il mistero dell’incarnazione del Verbo e proclama l’annunzio della salvezza fino agli estremi confini della terra, oggi come ieri. Essa porta avanti la prima e la seconda evangelizzazione per colmare le attese che l’uomo reca in sé. Io saluto oggi questa Chiesa missionaria: saluto e incoraggio i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i catechisti, i medici, gli infermieri, i maestri, i tecnici. Saluto e incoraggio gli apostoli presenti là dove la Chiesa riprende le antiche strade per portare di nuovo il lieto annunzio della salvezza; ringrazio questi nuovi missionari dal cuore giovane, dallo sguardo lungimirante, dal coraggio di Pietro e di Paolo. Messaggeri di lieti annunzi, fate rifiorire il deserto!

7. La nascita dell’Emmanuele è avvenuta nel segno della solitudine e della povertà, giacché la potenza di Dio si è spogliata e si è umiliata nella condizione di servo. Nel mistero del Natale trovano, perciò, il loro posto i poveri di tutte le antiche e nuove denominazioni: coloro che soffrono la fame e ne muoiono, gli emarginati, i diseredati, i rifugiati, le vittime degli odi, delle guerre, dei cataclismi ecologici. Penso, in particolare, a quanti sono stati colpiti, in Armenia, dal disastroso sisma, ed ora piangono i loro cari sepolti fra le macerie, vegliano angosciati accanto ai feriti negli ospedali, lottano col freddo e con le intemperie, privi di un tetto sotto cui cercare riparo per sé e per i figli. Possano essi sentire, in quest’ora tragica, la comprensione e il sostegno dei buoni. Si rafforzi nel mondo lo slancio di generosità che ha mobilitato governi, organizzazioni e singoli in una meravigliosa catena di solidarietà, e col contributo di tutti si avvii l’opera di ricostruzione così che la speranza torni a rifiorire in quella terra tanto provata.

8. Il mio pensiero va pure ai poveri di quel bene prezioso che è la salute, a tutti coloro che sono colpiti dalla malattia, e con essa lottano nelle corsie d’ospedale nelle cliniche o fra le mura delle loro case.
A tutti penso, a tutti dico: non perdete la speranza! La mia parola si volge, soprattutto, ai malati di AIDS, chiamati a sfidare non solo la minaccia del morbo, ma anche la diffidenza di un ambiente sociale impaurito ed istintivamente sfuggente.

Invito tutti a farsi carico del dramma di questi nostri fratelli e, mentre ad essi esprimo il mio affetto partecipe, esorto scienziati e ricercatori a moltiplicare gli sforzi per mettere a punto una terapia efficace del misterioso male.
La scienza e l’amore, insieme congiunti, possano presto trovare il rimedio sospirato: è l’auspicio che depongo presso la culla del neonato salvatore.

9. Davanti all’indigenza di Betlemme la Chiesa per prima si sente chiamata a imitare Cristo povero.
Con lui essa si pone dalla parte dei poveri, impegnandosi a rispettarne la dignità e ad alleviarne le sofferenze.
Con fiducia rinnovata essa leva la sua voce in loro difesa ed esorta: si congiungano le forze, si moltiplichino le iniziative in soccorso dei bisognosi, nei quali Cristo stesso ha voluto identificarsi!

Che questo invito risuoni oggi in tutte le latitudini e susciti risposte generose da parte di chi ha, di chi può, specialmente da parte dei giovani.
Che ciascuno sappia vedere Cristo povero nei fratelli poveri.
A tutti rivolgo la mia voce nel nome di Cristo bambino: che non risuoni invano!
È questo il significato dell’augurio, che ora rivolgo nelle varie lingue."

St JPII - St Peter's Square, the Vatican on the Solemnity of the Nativity of Our Lord, 25th December 1988



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